Questa nostra rubrica esprime l’impegno di AFI e degli altri soggetti collegati ai progetti del sito su cui scriviamo a promuovere il contrasto al gioco d’azzardo patologico. In questo numero ci fermiamo a riflettere sulla parola “Gioco” definendone la identità e le caratteristiche principali, le sue potenzialità e il suo ruolo nella vita umana, individuale e sociale. Diamo poi alcuni dati sul gioco d’azzardo tratti da una recente ricerca socio – economica e li commentiamo.

«Gioca gioca, che poi da grande dovrai lavorare!» Affermò urlante la madre spazientita di un dodicenne che si attardava al p. c. sul nuovo videogame… che lei e il padre gli avevano regalato per Natale. In questa espressione della madre sta la idea tradizionale che il gioco sia legato all’infanzia e nell’età matura venga sostituito col lavoro e le azioni sociali. Vero, ma solo in parte. E’ noto a tutti che da diversi decenni il gioco si è espanso a tutte le età della vita. Giocano i giovani, giocano gli adulti e giocano pure gli anziani, maschi e femmine, ricchi e poveri. Tutti giocano. Basta guardare i programmi TV o entrare nei Bar e nei circoli di periferia.
Ma proviamo a recuperare la ingenua affermazione tradizionale: il gioco è roba da bambini e ragazzi, gli adulti invece lavorano e commerciano. Cosa ci dice del gioco? La mia tesi è che il gioco dei bambini e dei ragazzi è una attività che si ripaga da sé. E’ attività gratuita. Non è una azione che si esercita al fine di raggiungere uno scopo, come nel lavoro di produzione, nel commercio, nella politica e in altre azioni sociali. Un po’ come l’artista, il giocatore giocando raggiunge già il suo scopo: l’esercizio delle sue facoltà mentali, relazionali, psicofisiche. Ed è un esercizio che soddisfa in sé. Questo è il gioco dei bambini, che è una tappa dello sviluppo assolutamente necessaria per diventare adulti. Il gioco asservito agli obiettivi del guadagno, del potere, dell’influenza sociale è invece il gioco dei bambini “sporcato” dagli interessi e dallo sguardo degli adulti, come individui, come gruppi e istituzioni sociali.
Cosa significa questo per noi? E’ un invito, a riscoprire il gioco e la dimensione ludica della vita come una zona di gratuità e di piacere che ci mette a contatto con noi stessi e con gli altri. Questo tipo di gioco non va contrastato ma, al contrario, va promosso. E’ parte delle attività del biblico settimo giorno in cui Dio si riposò dalla creazione, e invitò gli uomini a fare altrettanto. Senza esperienza del gioco non si diventa adulti sani. Senza esperienza di gratuità non si rimane sani da adulti.
Il gioco d’azzardo è un’altra cosa. Lo approfondiremo passo passo in questa rubrica. Intanto voglio segnalare un dato interessante riportato da una recente ricerca socio economica sul gioco d’azzardo (M. Espostito, GEOGRAFIA ECONOMICA DEL GIOCO D’AZZARDO. In Communitas, nr 83-84, dicembre 2014).
Dalla lettura di questa ricerca, a tratti molto tecnica, veniamo a conoscenza (rimando alle fonti degli autori per una loro verifica scientifica) che la percentuale del reddito pro-capite speso (perduto) nelle diverse forme di gioco in Italia è del 9,7%. Vi rendete conto di cosa stiamo parlando? Se un cittadino guadagna 10.000 € annui ne spende 970 in giochi! Se questa percentuale venisse confermata, ed è solo una media tra tutti i cittadini, compresi i non giocatori tra i quali c’è chi scrive, non dovremmo parlare di un fenomeno che giustifica un allarme sociale?

Un altro dato interessante è costituito dal fatto che i più poveri giocano proporzionalmente di più rispetto ai ricchi. Le regioni più povere d’Italia infatti sono quelle in cui si gioca di più. Del resto basta curiosare tra le slot machine dei Bar vicino a casa e guardare in faccia i poveretti che vi passano ore incollati ansiosamente. Non sono certo molti i tipi in giacca e cravatta e maglioncini di cashmere o giacconi di marca.
Ma di questo parleremo un’altra volta. Invito i lettori ad approfondire le loro conoscenze leggendo la ricerca che ho citato (la trovate attraverso il link collegato alla citazione) e a riflettere sul carattere gratuito dell’esperienza originaria del gioco, quella che si fa da fanciulli. Se non è possibile mantenerla pura e intatta, è possibile tenerla come punto di riferimento per valutare e plasmare tutte le esperienze di gioco che incontriamo in famiglia e nella società. Nella figura sono rappresentate le province italiane e la percentuale di quanto viene speso al gioco rispetto al reddito imponibile IRPEF per ciascun residente (da 0 a 100+ anni). I colori corrispondono ai diversi quintili della distribuzione, quindi il colore rosso acceso è riferito al 20% di province dove si spende di più.