Le nostre carceri

Cosa c’entra la famiglia con l’articolo 27 della Costituzione italiana? Perché ogni membro della società – come afferma Agnese Moro, figlia di Aldo Moro – ha il diritto e dovere di partecipare alla rieducazione del detenuto? La conferenza sulla situazione delle carceri in Italia, tenutasi nella biblioteca comunale di Agrate Brianza il 2 febbraio 2015 proposta da OraLegale (per approfondire), ci presenta un resoconto.

Mauro Palma, vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

In Italia il sistema penitenziario è disciplinato dalla legge 374 del 1975 dell’ordinamento penitenziario, che riforma il regolamento risalente al 1931, rendendolo più conforme ai diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Una successiva modifica fu approvata con la legge Gozzini del 1986, che ha introdotto la detenzione domiciliare e i permessi premio. Nel pensiero comune, è poco frequente sentire parlare di “diritti dei detenuti”, è più facile pensare ai carcerati come cittadini di “serie B”, che meritano soprusi e violazioni dei loro diritto come conseguenza della loro condotta. Questa logica populista è per fortuna superata dalla Costituzione, che garantisce ai detenuti dei diritti e doveri. L’articolo 27 è quello che maggiormente ha ispirato i regolamenti delle carceri più promotori della persona umana (e sono quelli che, secondo le statistiche, permettono una migliore rieducazione del detenuto e dunque una minore possibilità di recidività). L’articolo 27 dispone che:

la responsabilità penale è personale; l’imputato non è colpevole sino alla condanna definitiva; le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

All’istituto penitenziario è affidato il compito di mettere in atto il terzo comma dell’articolo: oggi è possibile rieducare un detenuto attraverso un programma personalizzato che prevede che il detenuto rimanga a contatto con il mondo esterno, attraverso il lavoro e lo svolgimento di altre attività che sono spesso organizzate da istituti esterni al carcere, privati e di volontariato.

«Anche se sono tantissimi i progressi fatti in questa direzione», spiega Il relatore Mauro Palma, membro della Commissione ministeriale sul sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani e vice capo dell’Amministrazione penitenziaria, «la sentenza del caso Torreggiani, adottata l’8 gennaio 2013 dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (CtEDU) ha dichiarato che l’Italia ha violato l’articolo 3 della CEDU, riguardante trattamenti inumani e degradanti, nei confronti di 7 detenuti ricorrenti, a causa del sovraffollamento delle carceri italiane. La corte ha concesso all’Italia poco più di un anno per riportare la situazione del sovraffollamento delle carceri alla normalità, al termine del quale la Corte avrebbe condannato l’Italia al risarcimento per tutti i casi di violazione che la Corte ha “congelato” per un anno».

L’Italia ha dunque adottato misure di emergenza volte alla costruzione di nuovi penitenziari e all’esecuzione delle condanne inferiori di dodici mesi all’esterno delle carceri.

L’intervento di Maria Pitaniello, direttrice della casa circondariale di Monza, ci permette di conoscere questa realtà nel nostro territorio.

«L’obiettivo a cui tendono tutte le aree del carcere – l’area economica, sanitaria, l’area trattamento – è l'”umanizzazione della pena”, attraverso una rete di collaborazioni con il territorio, con ad esempio l’associazione Antes o Carcere Aperto. Nella tutela di ciascun individuo di un residuo della propria libertà personale, ogni detenuto può decidere di prendere parte a un percorso personalizzato di rieducazione, che gli permetta reinserirsi a tutti gli effetti nel territorio al termine della detenzione. Nel nostro istituto il detenuto può mantenere contatti frequenti con la famiglia, ed inoltre mettiamo a disposizione anche spazi adeguati ai bambini. Attualmente il carcere ospita 600 detenuti. La convivenza è disciplinata da un regolamento. Una buona percentuale è composta da stranieri, a cui talvolta l’imposizione di uno stile vita diverso dal loro può risultare difficile, ma comunque viene assicurato loro un percorso di rieducazione. Posso constatare con soddisfazione che in questi anni sono stati fatti molti progressi, soprattutto grazie all’ impegno della società, ma c’è ancora molto da fare».

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