Dopo esserci occupati del cuore della educazione affettiva in famiglia, che abbiamo individuato nella capacità dei genitori di “sintonizzarsi” sugli stati emotivi dei figli e regolarli in modo responsabile e adatto al contesto, eccoci a mettere a fuoco un altro aspetto di tale educazione. Si tratta di come accompagnare ed educare le esperienze di dolore, frustrazione e sofferenza che incontriamo inevitabilmente nella vita.
Il titolo che ho scelto presuppone una tesi: in alcune circostanze il dolore fa crescere. Eppure questa tesi non è ovvia. Quanta cultura popolare, e alcuni teorici, si sono schierati a favore dell’evitare esperienze di dolore e di frustrazione ai desideri del cucciolo che abita come un principino in casa nostra! E quanti errori e conseguenze nefaste ne sono venute per la maturazione dei giovani. Oltre ai NO che la vita sociale ci impone, ci sono davvero dei «NO che aiutano a crescere», come titolava un fortunato libro alcuni anni fa.
Il dolore come parte delle esperienze di vita
Se non dobbiamo andare a cercare il dolore e la sofferenza, come suggeriscono certe distorsioni educative fondate su principi morali, ideologici e religiosi, non possiamo nemmeno proteggere completamente i nostri figli dal dolore come mettendoli sotto una campana di vetro.

Ricordate la battuta del film “Alla ricerca di Nemo”? Il pesce padre si rivolge al figlio dicendo: «Ti prometto che non ti capiterà mai nulla nella vita!». La pesciolina amica smemorata gli risponde: «Che promessa bislacca!».
E’ proprio quello che accade nella relazione troppo protettiva verso i figli. Se si cerca solo e sempre la sicurezza del già noto, si perde il gusto della vita e del suo avventurarsi verso l’ignoto. Nella educazione occorre dunque giocare in attacco e non in difesa. Bisogna attrezzare i nostri figli ad affrontare le inevitabili frustrazioni che sono esperienze che ci insegnano a riconoscere i nostri limiti e a cercare di superarli arrivando fin dove è possibile.
Vivere il dolore e diventare più forti: fattori di resilienza o di traumatizzazione
Di fronte al dolore e alla sofferenza alcuni ne escono vincitori e traggono da loro linfa ed energia vitale. Come mai? Quali sono le condizioni che ci permettono di uscirne irrobustiti? Le conoscenze che la psicologia sta traendo dallo studio e dalla cura delle persone sopravvissute a grandi e piccoli traumi della vita quotidiana ci indicano alcuni fattori di resilienza, cioè della capacità di uscire irrobustiti dalle batoste della vita. Ne commento alcuni, i più adatti a questa comunicazione.
- Gravità dell’evento doloroso: un conto è la perdita di un giocattolo preferito, un conto una ferita e uno spavento forte con il rischio della vita.
- Età: minore è l’età in cui si vive l’evento doloroso e più si è esposti alle sue conseguenze negative. Perciò è giusto proteggere i piccoli da eventi troppo stressanti e dolorosi. Non però nascondendogli la realtà come talvolta fanno coloro che – ad esempio – in occasione di un lutto familiare, mandano i bimbi a giocare da una famiglia di amici.
- Reazione personale: il bimbo è predisposto a reagire attivamente o a chiudersi in se stesso di fronte all’evento? Ovviamente nel secondo caso è più a rischio di venirne traumatizzato.
- Possibilità di condividere il dolore parlando con persone comprensive. Se il bimbo sente che può comunicare il dolore e l’adulto riesce a riceverne il peso, questo aiuta il dolore ad andarsene via.
- Durata dell’evento stressante. Un conto è un fatto isolato e drammatico come un incidente. Un altro conto è l’essere sottoposti ad anni di incuria e maltrattamenti, anche solo psicologici, da parte di uno o entrambi i genitori.
Educare gli affetti attraversando il dolore
Che fare dunque in famiglia?
- Occorre anzitutto verificare come noi adulti ci poniamo di fronte al dolore. Se non riusciamo a reggerne il peso, se abbiamo dolori non elaborati dietro le spalle, agiremo in modo che i nostri problemi si trasferiranno alla generazione seguente. C’è una trasmissione intergenerazionale del trauma.
- Poi dobbiamo vigilare con attenzione e cogliere i segnali di questi piccoli o grandi dolori cui i nostri figli possono andare incontro.
- Una volta intravisti dobbiamo porci come interlocutori amorevoli e determinati ascoltando, sorreggendo e incoraggiando a portarne il peso, senza minimizzarlo o enfatizzarlo.
Tutto questo è possibile? Sì e se dovessimo riconoscerci in difficoltà possiamo farci sostenere da buone relazioni fraterne, da parenti, amici, famiglie vicine, o anche da professionisti della relazione di aiuto.
Le reti di sostegno familiare che vogliamo creare con i nostri progetti servono anche a questo.